Il termine economia circolare è ormai di uso comune, ma finora si è fatto poco o niente di concreto per promuoverne i principi a livello globale, almeno per quanto riguarda il settore del recupero di materia dai rifiuti.
Il Green Deal e il nuovo Piano d’azione per l’economia circolare varato dall’Unione Europea contengono una serie di elementi che dovrebbero contribuire alla transizione da modelli di economia lineare a quelli circolari, ma al momento sembrano ancora proposte d’intenti, non sufficienti a dare quella spinta necessaria al cambiamento. Le troppe reticenze di diversi settori hanno portato a compromessi con soluzioni spesso complesse da seguire o poco efficaci.
Eppure, esistono alcune soluzioni estremamente semplici a portata di mano. I benefici ambientali, diretti e indiretti, che il recupero di materia genera sono indiscutibili, così come è ormai assodato che lo sfruttamento delle risorse primarie sta causando dei danni irreversibili al nostro Pianeta. Basterebbe che venisse riconosciuto il valore economico degli importanti benefici per l’ambiente apportati dalla produzione di materie prime secondarie.
Come accade per le fonti rinnovabili occorre pensare un Piano Nazionale Green di incentivi connessi alla Produzione di Materia Secondaria, che introduca dei contributi economici – espressi in euro/tonnellata – in relazione ai benefici ambientali generati dalle quantità di Materia Prima Secondaria / End of Waste di carta, metalli e plastica prodotte dagli impianti di trattamento dei rifiuti. Siamo stati in grado di farlo per sostenere gli inceneritori (Cip6), ed è paradossale che adesso non si faccia per incentivare la produzione di materia prima secondaria!
I sistemi di governance e controllo a supporto delle fonti rinnovabili esistono già, basta ampliarli e adattarli per includere questa nuova forma di incentivazione tariffaria per il recupero di materia dai rifiuti. Se le MPS aumentano di valore, questo viene ridistribuito su tutta la filiera a monte, incentivando quindi i comportamenti virtuosi che si trasformano in vantaggi ambientali ed economici. Un tipo di intervento normativo semplice, in grado di produrre delle esternalità positive, richiesto a gran voce delle associazioni che rappresentano l’economia circolare in Italia, Unirima, Assofermet e Assorimap, per dare finalmente impulso all’industria della Green Economy nel Paese.
In aggiunta agli interventi di supporto diretto, reale e facilmente riscontrabile, un’altra priorità per il settore è quella di affrontare i temi del mercato e delle barriere. Viviamo ormai in un’economia globale, in cui insieme alle persone e ai capitali si spostano le merci. Lo sa bene il nostro Paese, in cui il valore delle esportazioni pesa per il 32% del PIL nazionale, e che senza lo sbocco dell’export avrebbe un sistema economico destinato al collasso.
Superare il modello economico lineare con l’economia circolare non può significare il passaggio da un’economia globale all’autarchia. La sfida fra i due sistemi può esser vinta solo se affrontata a livello mondiale. Altrimenti è come pensare di risolvere i problemi connessi al cambiamento climatico riducendo le emissioni in uno solo Stato.
Non hanno quindi alcun fondamento logico quelle posizioni che vorrebbero relegare l’uso delle materie prime secondarie all’interno dello Stato in cui vengono prodotte. L’esportazione di questi materiali contribuisce alla produzione di beni ambientalmente sostenibili nei Paesi importatori, riducendo il ricorso all’uso delle fonti primarie. Pertanto, la limitazione al mercato delle materie prime secondarie è un boomerang per l’economica circolare e per l’ambiente.
Quando si parla di esportazioni il riferimento alla Cina e al divieto totale che è stato introdotto a partire dal gennaio 2021 (le limitazioni sono state introdotte da luglio 2017) di importare rifiuti, ma anche Materie Prime Seconde, è d’obbligo. Una vicenda che andrebbe raccontata meglio e molto più complessa di come si legge in alcuni articoli. In particolare, perché la Cina non ha chiuso a tutto, da fine 2020 ha anzi riaperto le importazioni di diverse tipologie di metalli recuperati dai rifiuti (quindi materie prime secondarie), segno che le limitazioni introdotte sono state attuate per interessi commerciali.
L’importanza dell’export di Materia Prima Secondaria l’Italia la conosce bene. Nel settore della produzione di carta da macero (destinata alle cartiere) il nostro Paese è infatti leader al livello europeo, ed ha raggiunto con oltre 15 anni di anticipo gli obiettivi fissati dall’Europa. Se il settore ha saputo raggiungere queste performance, con importanti ricadute per la sostenibilità ambientale e in termini occupazionali, è stato dunque grazie alle esportazioni che hanno garantito l’allocazione del surplus di produzione rispetto al fabbisogno interno (circa 1,8 milioni di tonnellate all’anno di export, pari al 28% del totale della produzione di carta da macero).
L’Italia è infatti da oltre 10 anni un esportatore netto di quelle quantità di carta da macero che nel sistema economico nazionale sono in eccesso. Senza la possibilità di poter esportare il surplus di produzione, si verificherebbero un corto circuito con gravi ripercussioni sul tessuto delle imprese lungo tutta la filiera del recupero di materia.
Pertanto, le chiusure alle importazioni introdotte da altri Stati si configurano come barriere al mercato evidentemente contrarie ai principi di libero scambio, e queste spinte autarchiche hanno come unica conseguenza quella di avallare logiche monopolistiche e arbitrarie, che creano vantaggi solo per pochi e danneggiano il settore del recupero di materia dai rifiuti.
Se vogliamo veramente vincere la sfida globale con l’economia lineare, il mercato delle Materie Prime Secondarie deve essere libero da barriere.
Francesco Sicilia